La prevenzione resta l'arma migliore contro il melanoma, ma questo tumore è molto resistente ai farmaci e la mortalità è molto alta: a 5 anni dalla diagnosi, è vivo solo il 10 per cento dei pazienti, gli altri muoiono entro 4-6 mesi.
Se il melanoma viene scoperto quando è ancora in superficie, ma per i casi di diagnosi tardiva si aprono scenari promettenti sul fronte delle cure, grazie a un nuovo farmaco, vemurafenib, che però non è disponibile in Italia. Se ne è parlato a Palermo nella sede del Cerisdi, durante un seminario dell'Associazione nazionale dei medici delle direzioni ospedaliere (Anmdo), sezione Sicilia.
Finora, il trattamento di prima scelta è stata la chemioterapia, ma adesso da un lato si sta implementando la terapia immunitaria con l'impiego di anticorpi come ipilimumab, dall'altro si stanno raggiungendo traguardi insperati con i farmaci biologici. Capostipite è vemurafenib che nei giorni scorsi ha ricevuto il riconoscimento di Best New Drug 2012 agli Scrip Awards, premio per l'innovazione del settore biofarmaceutico.
E' la prima volta che il melanoma viene affrontato in una logica di medicina personalizzata. Il farmaco infatti è stato sviluppato congiuntamente con un test diagnostico correlato per individuare specifici gruppi di pazienti. La novità porta benefici concreti per i pazienti, i medici ed il sistema sanitario grazie alla possibilità di identificare con precisione chi può beneficiarne. "è tra i migliori farmaci oncologici degli ultimi 5 anni", secondo il professore Achille Patrizio Caputi, direttore del dipartimento Clinico - Sperimentale di Medicina e farmacologia del Policlinico di Messina, il quale riferisce che "in due studi clinici, il farmaco ha dimostrato di migliorare in modo significativo la sopravvivenza e di ridurre le dimensioni del tumore".
"Vemurafenib dà effetti immediati. La risposta soggettiva si ha nel giro di pochissimi giorni. Ad esempio, in brevissimo si ha una rapida risoluzione della sintomatologia provocata dalle metastasi", dice Francesco Ferraù, direttore Oncologia medica all'ospedale San Vincenzo di Taormina. Il medicinale, che si assume per bocca, agisce specificamente sulla mutazione del gene BRAF V600, presente nel 50% dei malati: "è una quota importante, non è un trattamento di nicchia, ma è indicato a molti pazienti", rileva Roberto Bordonaro, direttore Oncologia medica dell'ospedale Garibaldi di Catania.
Come tutti i farmaci biologici ad alto grado di innovazione è però molto costoso: "Non ce la possiamo permettere -commenta il professor Caputi- ma non ci possiamo neanche permettere di non curare questi pazienti. E' necessario un accordo tra aziende farmaceutiche, Stato e mondo medico". Il farmaco ha già ottenuto le autorizzazioni della FDA ad agosto 2011 e dell'EMA a febbraio 2012 ed è già disponibile in diversi Paesi europei. Però ancora sul mercato italiano non c'è, anche se viene prodotto nel nostro Paese, a Segrate. Il farmaco non viene rimborsato dal Sistema Sanitario Nazionale e i pazienti possono beneficiarne grazie alle aziende farmaceutiche che lo mettono a disposizione gratuitamente.
"Questo ritardo non è accettabile", afferma il professore Paolo Ascierto, direttore dell'unità di Oncologia medica e terapie innovative dell'Istituto nazionale tumori di Napoli, Fondazione "G. Pascale", secondo cui "i governi devono cercare di andare incontro alle aziende farmaceutiche. E mi chiedo: in futuro, che interesse avranno queste ditte a fare ricerca in Italia se poi il farmaco non viene messo in commercio in tempi ragionevoli?". Questa classe di molecole dovrebbe essere resa disponibile e rimborsata dalle Regioni subito dopo l'approvazione da parte dell'Aifa (l'Agenzia italiana del farmaco), ma i criteri per la definizione non sempre sono chiari e, di conseguenza, l'accesso al farmaco può non essere omogeneo su tutto il territorio nazionale.