Al congresso europeo di oncologia ESMO presentati gli esiti di studi particolarmente promettenti per chi soffre di cancro ai polmoni, seno e melanoma in fase avanzata
«Sono stati presentati diversi studi che presto avranno una ricaduta diretta sulla vita dei malati e sulle cure che verranno loro somministrate come terapie standard». Così Johann de Bono, dell'Istituto della Ricerca sul Cancro britannico e presidente del Comitato Scientifico del congresso ha commentato i risultati emersi durante il Congresso Europeo di Oncologia Medica 2014 (ESMO), da poco concluso a Madrid. «Siamo sempre più in grado di mirare i trattamenti anticancro contro i meccanismi molecolari che causano e fanno proliferare la malattia - ha detto de Bono -: così, con la medicina di precisione, abbiamo raggiunto nuovi traguardi che possono avere a breve una conseguenza clinica soprattutto per i tumori di polmone, seno e per il melanoma cutaneo».
Polmone, guadagnare mesi nei pazienti più gravi
Quella polmonare resta una delle forme di cancro più letali e difficili da combattere: nel 2013 sono state circa 38mila nuovi casi in Italia e a cinque anni dalla diagnosi la percentuale di chi sopravvive resta bassa, intorno al 16 per cento. Purtroppo, infatti, nella stragrande maggioranza dei malati si scopre la malattia quando è ormai in fase avanzata o metastatica e l'aspettativa di vita residua si aggira intorno all'anno. «C'è un grande bisogno di nuove terapie efficaci per contrastare la neoplasia nei pazienti più gravi - dice Filippo de Marinis, direttore dell'Oncologia Toracica all'Istituto Europeo di Oncologia di Milano -. Procediamo con piccoli, ma importanti passi e guadagniamo mesi di sopravvivenza, che possono sembrare pochi in un'ottica generale, ma sono molto importanti per i singoli malati che, consapevoli di non poter guarire, in quel periodo possono però vedere un figlio che magari si laurea o che si sposa». In particolare una sperimentazione di fase tre presentata a Madrid ha confrontato l'efficacia di due diverse target therapies in pazienti con carcinoma polmonare avanzato a cellule squamose, mostrando che la sopravvivenza libera da progressione della malattia (ovvero tempo che intercorre prima del peggioramento del tumore) è di poco superiore con afatinib rispetto a erlotinib, con un miglioramento della qualità di vita dei pazienti, seppure a prezzo di maggiori effetti collaterali (quali diarrea e rash cutanei). Un altra ricerca ha poi evidenziato che nintedanib in associazione a docetaxel, rispetto alla monoterapia con docetaxel, prolunga in maniera significativa la sopravvivenza globale mediana in pazienti con adenocarcinoma avanzato, dopo chemioterapia di prima linea. «Ciò che è inoltre emerso - aggiunge l'esperto - è che è fondamentale, nell'ottica delle terapie personalizzate, fare subito ai pazienti i test molecolari perché ricevano il farmaco che ha maggiori probabilità di essere efficace contro il loro tumore e le eventuali mutazioni genetiche presenti».
Seno, allungare fino a 5 anni la vita di chi ha metastasi
All'Esmo sono poi stati presentati i dati di un trial che ha mostrato come l'aggiunta di pertuzumab a trastuzumab e docetaxel ha prolungato la sopravvivenza delle pazienti con tumore al seno metastatico HER2-positivo precedentemente non trattato di oltre 15 mesi rispetto al mix di trastuzumab e chemioterapia. Nello studio i ricercatori hanno valutato l'efficacia e la sicurezza dei tre medicinali in combinazione in 808 donne con carcinoma mammario metastatico HER2-positivo non trattato in precedenza, carcinoma storicamente noto per essere una delle forme più aggressive. «Grazie al trattamento con pertuzumab, trastuzumab e docetaxel, in media le pazienti vivono oltre 56 mesi rispetto ai quasi 41 di chi hanno ricevuto trastuzumab e chemioterapia. I risultati ottenuti cambiano la terapia standard per questo tipo di pazienti» commenta Michelino De Laurentiis, direttore dell'Oncologia Medica Senologica all'Istituto Nazionale Tumori Pascale di Napoli. Da un altro trial è poi emerso un aumento della sopravvivenza senza progressione quasi triplicato (si passa da poco più di tre mesi a quasi 12) e un miglioramento della sopravvivenza complessiva superiore a 15 mesi con bevacizumab più capecitabina in mantenimento dopo una induzione iniziale con bevacizumab più taxano, in donne con tumore al seno metastatico HER2-negativo.
Melanoma, mix di farmaci per ottenere risultati migliori
Dopo 30 anni senza novità, nel 2010 sono arrivate nuove cure anche per il più aggressivo tumore della pelle, il melanoma. A Madrid sono stati presentati gli esiti di numerose ricerche, per lo più concentrate sui malati con forme avanzate e metastatiche, che ad oggi non si riescono a guarire. «In particolare l'associazione di cobimetinib più vemurafenib ha ridotto della metà il rischio di progressione della malattia (rispetto alla monoterapia con vemurafenib) in pazienti con melanoma metastatico positivo alla mutazione di BRAF non precedentemente trattato» spiega Paolo Ascierto, direttore dell'Unità di Oncologia Medica e Terapie Innovative all'Istituto Tumori di Napoli. E la qualità di vita dei malati, pur sommando terapie diverse con differenti effetti collaterali, non peggiora. Un altro mix (dabrafenib più trametinib) si è rivelato efficace nel migliorare la sopravvivenza generale e quella libera da progressione di malattia sempre in chi ha la mutazione di BRAF e non può essere operato, con un numero maggiore di pazienti che rispondono alla terapia, utilizzata come prima linea. Infine, dati positivi sono emersi anche su nivolumab, un inibitore sperimentale del checkpoint immunitario PD-1. In pratica, le cellule tumorali possono servirsi di vie che regolano il segnale "di comunicazione" intracellulare (come quelle di checkpoint), per nascondersi dal sistema immunitario e proteggere il tumore dall'attacco immunitario. Questo farmaco va a scardinare questo meccanismo ottenendo, nei malati con melanoma avanzato già trattati con ipilimumab, risultati migliori e più duraturi rispetto alla chemioterapia, con minori effetti collaterali. «Le combinazioni di farmaci funzionano meglio perché vanno a colpire geni differenti o punti differenti della "catena" di trasformazione cancerosa delle cellule, come ad esempio BRAF o MEK - conclude Ascierto -. È un po' come accerchiare un nemico o colpirlo su più fronti, utilizzando armi differenti».