La cute nella psoriasi
La psoriasi è una condizione infiammatoria cronica della cute, indotta da ...
Segreteria SIDeMaST, 11 Feb 2020 02:12
La psoriasi è una condizione infiammatoria cronica della cute, indotta da ...
Segreteria SIDeMaST, 11 Feb 2020 02:12
La psoriasi è una condizione infiammatoria cronica della cute, indotta da fattori ambientali in soggetti geneticamente (immunologicamente) predisposti.1
L’insorgenza delle lesioni è determinata dall’attivazione di circuiti infiammatori che vedono coinvolte numerose citochine come l’INF-α o il TNF-α che, attivando cellule dendritiche e macrofagi, determinano l’aumento di espressione di IL-23 e la conseguente attivazione delle cellule producenti IL-17, principalmente cellule T.2 I circuiti infiammatori innescati da IL-17 e da altre citochine effettrici quali IL-22 ed il TNF-α, coinvolgono i cheratinociti che, in risposta allo stimolo, proliferano e rilasciano mediatori quali peptidi antimicrobici, chemochine e citochine, che alimentano l’infiammazione, inducendo così lo sviluppo del fenotipo psoriasico.3
L’inibizione sistemica dell’asse interleuchinico IL-17/IL-23 è in grado di interrompere efficacemente i meccanismi patogenetici della malattia e ha rivoluzionato la gestione clinica della psoriasi moderata-grave.4
È comunemente ritenuto che un trattamento anti-psoriasico efficace possa restituire una cute virtualmente normale4, ossia che la risoluzione clinica delle placche corrisponda all’eliminazione della patologia. Le placche sembrano scomparire completamente, lasciando eventualmente una pigmentazione residua; anche da un punto di vista istologico la differenziazione dei cheratinociti appare completa, l’acantosi risolta e i leucociti infiltranti eliminati.5
In realtà è più corretto affermare che una cute con risoluzione delle lesioni corrisponde ad uno stato “post-lesionale” (in letteratura si usa la dizione “non-lesionale”). Come singolo esempio, in uno dei pochissimi studi clinici pubblicati da Nature, gli autori di una letter sostenevano come un nuovo anticorpo monoclonale avesse “risolto le lesioni di ispessimento epidermico fino a un aspetto non lesionale, ma non era stata raggiunta la riconversione completa alle caratteristiche di cute normale”.6
Il tema del “lascito” dopo terapie altamente efficaci è emerso nell’ultimo decennio, mentre era stato insufficientemente esplorato con i tradizionali trattamenti anti-psoriasici, sia topici (steroidi, analoghi della vitamina D3, antralina), sia sistemici (metrotrexate, ciclosporina, ecc.).
Indagini recenti, corroborate da biopsie cutanee, come nell’esperienza di Nature, stanno illuminando questo aspetto fondamentale, che attiene in un certo senso alla “guarigione” della cute psoriasica7 ed al “residuo” di malattia che possiamo rilevare a livello istopatologico e genomico (il cosiddetto residual disease genomic profile (RDGP) o “molecular scar”.4,8
È noto che lesioni psoriasiche che sembrano risolte tendano a ripresentarsi, spesso nelle stesse sedi, settimane o mesi dopo la cessazione del trattamento. Già questo fatto è ed è stato suggestivo di una lesione non completamente risolta.7
In realtà, già con gli anticorpi monoclonali di prima generazione si erano individuate, nell’area della placca, una risposta precoce (entro ore o giorni) e una tardiva (settimane o mesi):9 la prima riguardava l’immediata soppressione delle citochine prodotte dalle cellule dendritiche e, di conseguenza, il contenimento di popolazioni cellulari come i linfociti T helper 17 (Th17), particolarmente attivi nell’indurre infiammazione nel derma e aumentata proliferazione dei cheratinociti;9 la seconda era la lenta eliminazione delle cellule Th1 che, con il loro IFN-γ, attivano oltre 100 geni soltanto nei leucociti.9 Si riconobbe che questa seconda fase sulle vie patogenetiche della psoriasi era indispensabile per la risoluzione delle placche psoriasiche.9,10
Successivamente, l’introduzione di piattaforme per la profilazione genica sempre più sofisticate ha ampliato la possibilità di dissezionare i circuiti molecolari,3 individuando un numero sempre più grande di geni espressi nella psoriasi e eventualmente “silenziati” dai trattamenti.8 Uno dei primi studi aveva segnalato che il trattamento anticorpale normalizzava l’80% dei geni differenzialmente espressi nella psoriasi, ma ne rimanevano 248 che non ritornavano a livelli basali dopo 3 mesi di terapia.7 Le lesioni “risolte” lasciavano un’eredità di quasi 250 trascritti genici, in parte relativi a processi infiammatori (le interleuchine) e in parte riferiti a molecole di strutture cutanee.5,7
Numerosi studi hanno in seguito confermato che le “impronte molecolari” della psoriasi rimangono nella cute macroscopicamente guarita persino dopo l’impiego di efficaci trattamenti mirati, come gli anticorpi anti-IL-17 o anti-IL-23.7 In queste aree post-lesionali permangono cellule T di origine mono- o oligo-clonale che, riattivate da antigeni autologhi o di commensali cutanei, possono ri-determinare lesioni nelle stesse sedi precedentemente coperte da placche.11 È stato precisato che questi linfociti sono cellule T di memoria “psoriasi-specifiche”.7
La cute umana è costantemente pattugliata (ed abitata) da un numero incredibile di cellule T di memoria: si tratta di linfociti residenti che agiscono come prima linea di difesa dalle infezioni (virali).12 Essi sono così importanti da venire, da un lato, trasformati in cellule di lunga vita da parte di altre cellule T circolanti e, dall’altro, di essere difficilmente eradicabili (ad esempio, nei linfomi che colpiscono la cute gli anticorpi monoclonali riescono a depletare il pool di linfociti T circolanti, ma non ad eliminarli completamente dalla cute).13
Le cellule in precedenza indicate come Th1 sono state poi riconosciute come cellule T CD8 oligoclonali, che conferiscono, oltre a una memoria psoriasi-specifica, anche una memoria “sito-specifica”.12 Esse si localizzano infatti nell’epidermide (non nel derma), in immediata vicinanza ai cheratinociti, pronte a produrre interleuchine patogenetiche, come la IL-17A (infiammatoria) o la IL-22 (responsabile dell’acantosi e altre alterazioni dei cheratinociti).14 Persistono pertanto nelle aree post-lesionali bassi livelli di citochine e chemochine, ad un livello sotto-soglia per l’attivazione dei cheratinociti e la formazione di lesioni visibili, fino a quando viene raggiunta questa soglia, sufficiente a innescare i geni psoriasici.5
Si tratta di una memoria immunitaria localizzata che, nonostante le più disparate terapie, è stata reperita fin dopo 6 anni di trattamento.12 La clearance farmacologica di queste cellule T CD8 è incompleta: ne permane il 7% nelle aree “guarite”.11
A completare il quadro ci sono le cellule del Langerhans rimaste nelle sedi delle precedenti placche, che possono produrre IL-23 se stimolate e quindi risvegliare le cellule di memoria più o meno dormienti.12,15
Fin dalla metà del secolo scorso le aree cutanee non lesionali (a 5-10 cm dalle placche) hanno attratto l’attenzione di clinici e ricercatori.16 Da tempo è per esempio noto il fenomeno di Köbner, con lo sviluppo di lesioni psoriasiche in una notevole percentuale di soggetti psoriasici dopo 1-2 settimane da un insulto cutaneo.17 Nei decenni è stato riportato che queste aree manifestavano qualche alterazione istologica rispetto alla cute normale, come un lieve incremento di cellule CD4 nel derma e di CD8 nell’epidermide, una sovra-regolazione di geni immunitari e alterazioni nelle cellule dendritiche.18
Dal punto di vista di trascritti cruciali, i livelli di IL-23 o IL-17A/F nelle placche sono 5-10 superiori a quelli della cute di soggetti sani e delle aree indenni (“pre-lesionali”?) dei pazienti con psoriasi.7 Tuttavia i geni espressi in modo differenziale nelle aree non lesionali rispetto alla cute normale sono risultati 252,18 in numero curiosamente simile a quello dei geni lasciati in eredità alle aree post-lesionali.
I cheratinociti mostrano un’alterata espressione dei geni implicati nella differenziazione e nelle proteine della membrana basale.19,20 In particolare, l’analisi del transcriptoma ha recentemente individuato 87 geni alterati - anti-apoptotici (aumentati) o pro-apoptotici (diminuiti) - nelle aree non lesionali rispetto ai controlli.21
Dal punto di vista epigenetico, i geni meno metilati (ovvero più attivati) nelle aree non-lesionali sono in numero intermedio tra le aree con placche e la cute indenne.22,23
Le aree distanti dalle lesioni mostrano inoltre un profilo fenotipico “pre-psoriasico”.2,24
Le cellule di memoria sono presenti in numero superiore al normale anche nelle aree non lesionali.11
Come nelle aree post-lesionali, anche in quelle indenni le cellule del Langerhans hanno una ridotta migrazione, che viene inibita dalla IL-17 di varia origine.25
In queste aree “non coinvolte” sono stati osservati fenomeni ipossici che stimolano l’angiogenesi, l’iper-perfusione ematica, i vasi linfatici e l’up-take di glucosio.26-29
Tutti questi cambiamenti locali nel microambiente cutaneo caratterizzano una “cute pre-psoriasica”, profondamente diversa dalla cute sana.
Forse presto sarà possibile individuare, mediante indagini sostenibili, i geni della cute indenne che intervengono nello scatenare la malattia psoriasica: essi saranno i primi candidati per una diagnosi precoce e per lo sviluppo di nuove terapie.30
I passi iniziali nello sviluppo di nuove lesioni psoriatiche avvengono in forma subclinica, lontani dallo sguardo del dermatologo.2
Ciononostante esistono fattori protettivi nella cute, che potrebbero e dovrebbero essere potenziati da interventi profilattici. Sappiamo ad esempio che le cellule T CD4 regolatorie inibiscono l’evoluzione di nuove lesioni in aree mai lesionate.2 Le aree non lesionali possono inoltre manifestare una più alta espressione di vie regolatorie (geni Th2), che prevengono l’attivazione e l’espansione incontrollate di cellule T.18 In particolare, nella transizione tra cute asintomatica a cute lesionale, si vedono aumentare i linfociti T helper; al contrario, diminuiscono le cellule T regolatorie, a sottolineare un controllo immunitario attivo a distanza dalle lesioni.31,32 Anche alcune molecole regolatorie, come CARD18, possono terminare l’attivazione dell’infiammosoma psoriasico e risultano più elevate nella cute normale delle aree indenni.31,32
Tutto ciò ha notevoli implicazioni per la compromissione della barriera cutanea anche nella cute libera da lesioni.19
Come la cute mette in atto meccanismi protettivi di prevenzione e limitazione allo sviluppo della psoriasi, così può fare un atteggiamento terapeutico in tutti i pazienti, indipendentemente dal trattamento sistemico più o meno avanzato, soprattutto nei confronti dei sintomi più impattanti, come il prurito.
Il prurito è presente nel 60-90% dei pazienti affetti da psoriasi, specialmente di sesso femminile.33 La gravità media è superiore a 5 su una scala analogico-visiva per il prurito (VAS 0-10).34 La maggioranza dei pazienti considera il prurito come il più disturbante dei sintomi, che determina la maggiore riduzione della qualità di vita.34
In una review sistematica, diversi studi hanno sottolineato l’assenza di una correlazione tra il punteggio di severità PASI e la gravità del prurito. Numerosi lavori avevano già segnalato la mancanza di un legame significativo tra la gravità della psoriasi e la frequenza o l’intensità del prurito.34
In uno studio condotto, tramite questionario, su 230 pazienti affetti da psoriasi a placche, l’11% segnalava che il prurito era comparso prima delle lesioni. Pur non escludendo che il prurito fosse indotto da lesioni già presenti, benchè minime, esso poteva essere attribuibile ad un’aumentata espressione di nerve growth factor e a una maggiore densità di fibre produttrici di neuropeptidi come la sostanza P.35
Questo potrebbe spiegare perché il prurito provenisse anche da aree cutanee senza placche nel 30% dei soggetti.35 Infatti la sensazione pruriginosa non è limitata alle aree lesionali e spesso comprende il capillizio, le aree inguinali e le regioni glutee.36
Alcune citochine sono state recentemente implicate nella mediazione del prurito nella psoriasi.36 Per esempio, la IL-17 è stata ritenuta in grado di modulare la pruricezione a livello dei gangli dorsali e nel midollo spinale.36 La citochina IL-17A è sovra-espressa nella cute pruriginosa della psoriasi e la sua inibizione con anticorpi specifici ha migliorato il prurito in qualche studio.36 Tuttavia altre citochine non target come IL-31 possono avere un ruolo potenziale nell’induzione del prurito.37
Altri inibitori monoclonali o le piccole molecole degli inibitori JAK sembrano avere un effetto minore rispetto ai biologici più mirati.34
Qualche autore ha concluso che sembra non esistere una terapia specifica per il prurito nella psoriasi.34
È meno noto il ruolo di distruzione della barriera cutanea nella psoriasi, che contribuisce autonomamente alla sensazione pruriginosa.36
L’idratazione cutanea è molto importante nei soggetti affetti da malattia psoriasica. Tutte le linee guida raccomandano questa pratica quotidiana, estendendo la necessità di idratazione cutanea alla più ampia superficie possibile.38,39 La messa in atto di queste raccomandazioni sulla base dell’evidenza concretizza nella pratica clinica la gestione più appropriata per ogni singolo paziente.
La presenza di numerose alterazioni geniche, molecolari, istologiche e funzionali nelle aree sia “pre-psoriasiche” che “post-psoriasiche” individua, insieme all’universalità del prurito e della sua patogenesi in parte autonoma e distante da alterazioni immunitarie dirette, la necessità di interventi a favore di tutta la cute psoriasica, per promuoverne il benessere e non soltanto contrastarne il “malessere”.
L’emollienza cutanea può rappresentare un primo passo per riavvicinare il 30% circa dei pazienti psoriasici40 che non usano alcun trattamento, topico o sistemico, ad una terapia più appropriata.