È un killer che vende cara la pelle. E ha un identikit che mette i brividi: colpisce dieci persone su centomila in Europa, soprattutto a nord, 7mila nuovi casi ogni anno in Italia, millecinquecento vittime. E donne. Giovani, bianche, benestanti. Adulti ma, da qualche anno, anche tanti giovani, troppi giovani. Non ha paura di farsi vedere anzi, può tornare a farsi vivo anche molti anni dopo, quando pensavi di averlo seminato per sempre. Il melanoma, che si nasconde dietro il comunissimo neo della pelle, fino a ieri aveva pochi nemici e quasi sempre disarmati, poche possibilità terapeutiche una volta raggiunto lo stadio avanzato e nessuna in grado di aumentare la sopravvivenza del paziente. Ma le cose cambiano, anche per chi crede di farla franca per sempre.
La Us Food and Drug Administration, l'ente che autorizza il commercio di nuovi farmaci, ha approvato da pochi giorni l'uso dell'Ipilimumab. Sembra un codice segreto e invece è una combinazione vincente: Ipilimumab è un anticorpo monoclonale che stimola il processo fisiologico di attivazione del sistema immunitario contro le cellule neoplastiche. E adesso fare i conti con il killer è tutta un'altra cosa.
«É una svolta storica e un enorme passo avanti non solo per le migliaia di malati che combattono la malattia, ma anche per l'oncologia nel suo complesso». Michele Maio è il direttore di Immunoterapia Oncologica del Policlinico Santa Maria alle Scotte di Siena, e, tra le altre cose, guida uno studio tutto italiano, il Nibit M1, che per la prima volta al mondo valuta l'efficacia di una terapia con l'Ipilimumab in combinazione con il chemioterapico fotemustinanella, il primo al mondo cioè che associa l'immunoterapia alla chemioterapia.
E non nasconde il suo entusiamo: «Per la prima volta in trent'anni un farmaco immunitario è riuscito a dimostrare capacità di migliorare sensibilmente la sopravvivenza dei pazienti: ora possiamo applicare questa conoscenza per sviluppare nuovi e potenti terapie immunitarie anche contro altri tipi di cancro». Perché non è finita qui. «Le potenzialità enormi di questa nuovo agente terapeutico lo stiamo sperimentando da due anni su polmone e prostata cioè su due tumori che rispetto al melanoma sono molto più frequenti, completamente diversi e con trattamenti chemioterapici che hanno poco in comune. Perché non deve agire sulle caratteristiche del tumore ma sulle difese che lo combattono».
Le sperimentazioni internazionali sono già partite e sono massicce: coinvolgono 800 pazienti con cancro al polmone e 800 con tumore alla prostata, sono coordinate dall'Italia, risultati finali tra due o tre anni. Un'altra strada che vuole arrivare lontano.
L'immunoterapia è la nuova frontiera, l'arma numero quattro in mano all'oncologia dopo chirurgia, chemioterapia e radioterapia. Il sistema immunitario, che di natura combatte agenti esterni come batteri e virus, viene stimolato perché aggredisca il tumore riconoscendo come biologicamente estranee le cellule tumorali. E quando le trasformazioni che intervengono gli impediscono di riconoscere da solo le cellule malate viene addestrato ad adeguarsi.
E su questa nuova frontiera Michele Maio combatte da anni: è direttore del primo reparto di oncologia del sistema sanitario nazionale focalizzato sul trattamento immunologico dei tumori umani. Ha lavorato in America ed è responsabile di oltre 50 sperimentazioni cliniche internazionali molte delle quali coordinate dal centro di Siena. «Se il melanoma colpisse me?». Sorride: «Innanzitutto avrei un atteggiamento molto aggressivo nei confronti della mia malattia. Che è la prima cosa da fare per farcela. E poi di certo per curarmi sceglierei l'immunoterapia». Ha fiducia, il tumore, tutti i tumori, verranno sconfitti: «Non so quando vinceremo ma vinceremo: nessun giorno passa invano, perché non c'è giorno che non facciamo passi avanti».
Forse è vero che quando uno salva la vita di qualcuno salva sempre anche una parte di sé.