Dermatologia / Rassegna stampa

Tanoressia, la malattia dell'abbronzatura

La sindrome compulsiva da sole colpisce oltre 11 milioni di italiani

Segreteria SIDeMaST, 26 May 2010 10:28

Tanoressia, la malattia dell'abbronzatura

La passione eccessiva per il sole ha un nome, tanoressia. Il termine, formato dall'unione delle parole anoressia e tanning (abbronzatura in inglese), è stato coniato dai medici dermatologi per indicare una errata percezione del proprio corpo e per identificare il disturbo di coloro che non si ritengono mai abbastanza abbronzati e che passano ore sotto il sole o nei centri estetici.

La sindrome compulsiva da sole (SCS) rientra fra le dispercezioni corporee, quelle che gli anglosassoni chiamano nuove forme di dipendenza, e per curarla si ricorre a una nuova scienza, la neurodermatologia.

Il dermatologo Matteo Cagnoni, presidente dell'Istituto di Ricerca di Dermatologia Globale (IRDEG), ha commissionato un sondaggio per verificare la diffusione del disturbo fra gli italiani, scoprendo che il 20 per cento di essi è a rischio: «molte persone hanno un bisogno ossessivo di apparire sempre abbronzate e se ciò non accade entrano in ansia e non si sentono sicure di sé. Il tono dell'umore, l'autostima e il senso di benessere sono quindi direttamente proporzionali al livello di abbronzatura. Questo disturbo si fonda su un senso di insicurezza del sé corporeo per cui le persone non si vedono mai abbastanza abbronzate. I tanoressici hanno dimostrato un basso livello di attenzione nei confronti dei pericoli che la loro dipendenza può loro provocare. In pratica preferiscono avere qualche ruga in più e rischiare la comparsa di tumori della pelle ma non rinunciare ad avere un aspetto abbronzato».

Durante il prossimo Congresso nazionale di dermatologia, che si terrà presso la fiera di Rimini, il dott. Cagnoni presenterà una ricerca che sottolinea i benefici della somministrazione di farmaci serotoninergici su queste persone. Si tratta di medicinali comunemente utilizzati per curare la depressione e gli attacchi di panico, che riescono tuttavia anche a controllare questa nuova forma di dipendenza.

«Con 20 mg di paroxetina per 6 mesi si è modificato il loro approccio alla tintarella – sostiene Cagnoni – riuscendo a sentirsi a proprio agio anche senza essere abbronzati e a smettere di fare le lampade UV con l'assiduità che avevano prima, e i pazienti hanno iniziato ad utilizzare creme ad alta protezione e a curare maggiormente la loro pelle anche dal punto di vista dermocosmetico».

Inutile dire che, con l'estate in arrivo, i tanoressici sono più esposti ai rischi derivanti da un'eccessiva esposizione solare, come la formazione di nei, rughe e melanomi.

Non solo arrossamenti, eritemi e ustioni, ma anche melanomi maligni, varie forme di carcinoma e invecchiamento cutaneo. Questi i rischi che corre chi abusa del sole senza proteggersi. E se il 71% degli italiani sembra essersi ormai convinto della necessità di utilizzare opportune creme filtranti scelte in base alle caratteristiche della propria pelle, il restante 29%, praticamente 3 connazionali su 10, rifiuta ancora l'idea di una tintarella intelligente. E nella maggior parte dei casi lo fa per ragioni «quantomeno curiose, purtroppo indice di una certa ignoranza». Parola degli specialisti del Gruppo italiano di fotodermatologia (Gifde) della Società italiana di dermatologia e venereologia (SIDeMaST), che hanno condotto un'indagine in materia.

Giuseppe Monfrecola, coordinatore del Gifde e docente all'università Federico II di Napoli, afferma che «i prodotti solari rivestono un ruolo preventivo così importante da indurci a sperare che anche in Italia, come già avviene negli Usa, possano un giorno essere considerati non semplici cosmetici ma veri e propri farmaci». Ovviamente da banco.

Spostare i prodotti solari dalla sfera dei cosmetici a quella dei farmaci, ha proseguito Monfrecola, «comporterebbe vantaggi per il consumatore (non solo efficacia e sicurezza ma anche trasparenza, con l'elenco di indicazioni e controindicazioni) e abbatterebbe il pregiudizio della classe medica». Aspetti legislativi a parte, comunque, la cosa certa è che la qualità dei filtri solari «va migliorata parallelamente ai cambiamenti sociali (più tempo passato al chiuso, mito dell'abbronzatura e vacanze mordi e fuggi con esposizioni intense e saltuarie in aree spesso tropicali)». A garanzia di sicurezza il Gifde ha quindi stilato linee guida scientifiche sul profilo del solare ideale, permettendo ai centri universitari fotodermatologici di Genova, Roma S. Gallicano, Novara e Brescia di mettere a punto appositi test di laboratorio per certificare la bontà dei filtri.

Ma ecco le regole per la scelta oculata di una protezione:

  1. Leggere attentamente l'etichetta e verificare che sulla confezione sia riportato il fattore numerico di protezione (Spf) dai raggi UvB.
  2. Fare attenzione ai solari con Spf inferiore a 10, che riducono l'azione dei raggi UvB senza però garantire una protezione completa.
  3. Verificare il grado di protezione dai raggi UvA, che deve essere espresso in etichetta con un numero accompagnato dal metodo utilizzato per calcolarlo (Ppd o Ipd).
  4. Considerare che quando si parla di protezione elevata dagli UvA ci si riferisce a valori superiori a 15 con metodo Ppd e a 45 con Ipd.
  5. Non fidarsi dei solari che parlano di alta o media protezione senza indicare un valore SPF (per l'alta protezione si va da 20 a 40).
  6. La data di scadenza non è obbligatoria ma è un'informazione importante. Controllare che la confezione la riporti.
  7. Scegliere sempre e solo solari resistenti all'acqua.
  8. Diffidare dalla dicitura «schermo totale», che non esiste e recentemente è stata, difatti, abolita.
  9. Evitare solari che si definiscono «testati solo in vitro».
  10. In caso di allergie controllare che l'etichetta riporti la dicitura «prodotto dermatologicamente testato».
  11. Attenzione ai prodotti «abbronzanti»: un solare sicuro, per definizione, non può esserlo.
  12. Preferire i prodotti che spiegano le modalità d'uso.

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