Non è solo questione di pelle. È ormai ben noto che la psoriasi, una malattia infiammatoria cronica e recidivante che può interessare marginalmente o totalmente la cute con estensione anche alle articolazioni (artrite psoriasica), incide sensibilmente sullo stato psichico e socio-relazionale del paziente con un impoverimento della qualità della vita. Ma quanto pesano su di essa le implicazioni della malattia? Su una scala da 0 a 10, il valore stimato - a detta dei pazienti - è 7 pieno.
Lo stigma della psoriasi
A quantificarne il valore in negativo è un'ampia indagine condotta dall'Associazione per la difesa degli Psoriasici (Adipso) e dalla Società Italiana di Comunicazione Scientifica che ha esaminato i risultati di 6 studi scientifici che hanno coinvolto 167 pazienti, di cui 103 affetti da psoriasi e 64 da artrite psoriasica, e quasi 2 mila operatori sanitari.
Isolati dal "contatto" con la società: è la prima sensazione non solo percepita ed emersa dall'indagine presentata a Mestre in occasione di un evento dedicato alla psoriasi, ma condivisa anche dai circa 2,5 milioni di italiani affetti da diverse forme e gravità di malattia. Tutti allontanati, quasi rifiutati, per le manifestazioni visive della patologia: lesioni più o meno diffuse che possono interessare soprattutto gomiti (19%), cuoio capelluto (14,5%), ginocchia (12,9%), unghie (12%) e tronco (11,4%), rosse, desquamate, spesso accompagnate da prurito (25%) e nel caso di artrite psoriasica anche da gonfiore e rigidità articolare. Eruzioni e segni che provocano imbarazzo in chi le porta sulla pelle e timore di contagio in chi le osserva.
Conseguenze psicologiche
Ma le tracce non sono solo fisiche, perché la malattia si ripercuote anche sulla possibilità di vivere una vita piena, impedendo lo svolgimento regolare delle normali attività quotidiane (lo dichiara il 50% circa di pazienti), di lavoro o di studio, perché la psoriasi può colpire ad ogni età e senza distinzione di sesso, con una impatto peggiorativo sulla qualità della vita stimato a 7, in una scala da 0 a 10, per oltre il 42% dei malati. Esiti che peggiorano in presenza di ulteriori condizioni cliniche, come l'artrite psoriasica che affligge il 18% dei pazienti già psoriasici, o ipertensione arteriosa (circa 23%), depressione (7%), diabete (7%) e altre cardiopatie (circa 5%). «La psoriasi - ha dichiarato Mara Maccarone, presidente Adipso -malattia altamente invalidante come è stato riconosciuto anche dall'Oms, viene vissuta dai pazienti come un vero e proprio stigma che conduce all'autoisolamento nella convinzione di essere valutati sulla base della malattia della pelle. Questi pazienti vanno protetti». Anche con la somministrazione della giusta terapia.
Meglio farmaci per bocca
I pazienti psoriasici preferirebbero terapie da assumere per bocca: un elemento che eviterebbe a 1 paziente su 5 le migrazioni verso ospedali dove effettuare la cura. Ma non solo: fra i maggiori desiderata vi sono anche trattamenti che possano ridurre o contrastare le sintomatologie più importanti - desquamazione, arrossamento e prurito - puntando cioè a un miglioramento del benessere generale e a terapie più sicure specie a lungo termine, con costi più contenuti e migliore tollerabilità. Obiettivi che sono condivisi anche dagli specialisti, soprattutto in vista della creazione di nuove terapie.
Gli esperti lamentano infatti gli effetti collaterali (29,9%) degli attuali trattamenti sistemici - in particolare la possibilità di immunosoppressione (25%), lo sviluppo di neoplasie e malattie linfoproliferative (16%) e della tubercolosi (oltre 12%), la tossicità renale e epatica (19%), la difficoltà di gestire la terapia nei pazienti politrattati (17%) - e per i farmaci biologici soprattutto i costi elevati (20,1%) e il profilo di sicurezza a lungo termine (circa 17%).
Fedeltà alla terapia
Ragioni tuttavia non sufficienti per non aderire alla cura, caldamente raccomandata dagli specialisti e seguita, secondo i dermatologi dei centri autorizzati, dal 75% dei pazienti nonostante i timori verso i nuovi farmaci biologici, come riferito da quasi il 55% del campione intervistato. Ma anche la necessità di eseguire esami diagnostici prima e nel corso di terapia possono abbassare la fedeltà alla cura. A torto, perché oggi l'efficacia dei trattamenti è comprovata, specie di quelle più innovative. Nel determinare la scelta terapeutica, la disponibilità e l'accesso alla cura, un ruolo fondamentale lo svolgono i farmacisti ospedalieri. In oltre il 44% dei casi, questi ultimi dichiarano che l'efficacia terapeutica è il criterio che guida i clinici nella scelta del trattamento, seguita dal profilo di tollerabilità (15%), mentre l'11% ritiene che il costo elevato possa influire sulle decisioni terapeutiche operate dai clinici.
Il medico di medicina generale
Anche il ruolo del medico di medicina generale non va dimenticato o sottovalutato perché collabora con gli specialisti nella gestione del paziente psoriasico. Quasi l'80% degli oltre 1.100 medici di famiglia che hanno partecipato all'indagine, ha infatti dichiarato di vedere nel corso dell'anno meno di dieci pazienti affetti da malattia, preferendo invece indirizzarli a specialisti con i quali condividere la strategia terapeutica (25,5%) o a centri di riferimento (14,4%). Il medico di famiglia resta invece il primo referente per la prescrizione di esami diagnostici specifici o per effettuare controlli periodici pere ilo monitoraggio della malattia (33,8%), gestire le comorbidità (26,7%) e gli effetti collaterali (17,4%) o per essere aiutato nell'accesso alle varie prestazioni specialistiche e strumentali.
Insomma le gestione e cura della psoriasi richiede un efficace ed efficiente lavoro di squadra da cui nessuno è escluso: il dermatologo, il medico di famiglia e il paziente. Ciascuno secondo le proprie competenze e responsabilità motivate da un obiettivo comune: controllare la malattia e migliorare la vita di chi combatte quotidianamente con la psoriasi, di qualsiasi natura, entità o estensione essa sia.