Un paziente su 5 ha una forma moderata-grave che necessita di cure specifiche, ma troppo spesso la malattia e le sue conseguenze psicologiche vengono sottovalutate
Le cause della psoriasi non sono ancora chiaramente conosciute e comprendono una serie di fattori (genetici, immunitari e ambientali) che hanno un ruolo nel suo sviluppo, oltre a degli "eventi scatenanti" di vario genere. Certo è che, insieme alla predisposizione genetica, anche i disordini psichici e mentali e lo stress risultano giocare un ruolo centrale. D'altra parte la malattia porta un carico di sofferenza fisica, psicologica, sociale ed economica, i cui effetti, protratti nel tempo, ostacolano il paziente nel vivere una vita piena. È questo il quadro che emerge da un simposio dedicato a questa patologia cutanea, organizzato nell'ambito del congresso della Società Italiana di Dermatologia medica (SIDeMaST), tenutosi recentemente a Genova. «La psoriasi è una malattia che può essere molto dolorosa e difficile da trattare, che ha un impatto significativo sulla vita di una persona - sottolinea Aurora Parodi, direttore della Clinica dermatologica all'Ospedale San Martino di Genova e presidente dei lavori -. È quindi importante non solo curarla, ma interagire con il paziente affinché possa viverla al meglio, innalzando le proprie aspettative di qualità di vita».
Circolo vizioso tra stress e lesioni
Lo stress è considerato uno dei fattori principali nello sviluppo e nel peggioramento della psoriasi: il legame fra stress e psoriasi è collegato al rilascio da parte delle terminazioni nervose di alcune molecole che portano a un diretto aumento dell'infiammazione neurogenica. D'altro canto, le chiazze sono a loro volta fonte d'inquietudine per i malati e, non di rado collegate al prurito notturno, possono portare a problemi di sonno ed essere causa di ulteriore nervosismo. È stato definitivamente chiarito che la psoriasi non è solo una malattia della pelle, ma va considerata e curata come una patologia cronica e multi-organo, perché numerosissimi studi hanno dimostrato che si tratta di una patologia in grado di causare un'infiammazione sistemica con coinvolgimento di organi diversi dalla cute. «In questo quadro, un approccio olistico al paziente, che integri biologia e medicina psicosociale è fondamentale - spiega Anna Graziella Burroni, specialista in dermatologia e malattie veneree dell'Ospedale San Martino di Genova e presidente della Società Italiana di Dermatologia Psicosomatica -. Si deve costruire un rapporto basato sul dialogo medico-paziente con l'obiettivo di portare il malato a una completa adesione alle terapie, con sua soddisfazione e una migliore gestione della malattia».
Patologia troppo spesso sottovalutata
In Italia, secondo le stime più recenti, sono circa 2,5 milioni le persone affette da psoriasi. La maggior parte di loro (circa l'80 per cento) soffre di psoriasi a placche, nella forma lieve o moderata, mentre il restante 20 per cento è colpito da una forma moderata-grave, che viene però ancora troppo spesso sottovalutata. «È proprio su questo aspetto che bisogna vigilare - afferma Antonio Costanzo, ordinario di Dermatologia all'Università Humanitas di Milano -: la psoriasi è una grave malattia cronica che, se non trattata, può portare i pazienti ad aumentato rischio di altre gravi condizioni di salute, tra cui malattie cardiache di una certa rilevanza. Ma le terapie esistono e ci sono diversi modi per tenerla a bada. L'interleuchina IL-17A è una citochina che svolge un ruolo chiave nel sostenere l'infiammazione sottostante alla psoriasi. I farmaci che si sono dimostrati più efficaci sono quelli che agiscono direttamente su questa proteina». La ricerca va proprio in questa direzione: offrire al paziente cure che superino gli standard attuali e rispondano alle sue aspettative non solo di risoluzione delle placche, ma anche di recupero di una soddisfacente qualità della vita dal punto di vista emozionale e relazionale. È in questo panorama che sono arrivati, soprattutto nell'ultimo biennio, i dati delle sperimentazioni sui nuovi farmaci biologici (secukinumab e ixekizumab, in particolare), che consentono in molti casi la scomparsa totale delle lesioni.