Dermatologia / Rassegna stampa

Psoriasi, i nuovi obiettivi terapeutici che rivoluzioneranno le cure

Tre malati su 4 non fanno sesso a causa della patologia, ma ora saranno ritenuti validi solo trattamenti che raggiungono alti livelli di efficacia

Segreteria SIDeMaST, 14 Mar 2017 02:26

Psoriasi, i nuovi obiettivi terapeutici che rivoluzioneranno le cure

D'ora in poi chi soffre di psoriasi, una malattia della pelle, spesso cronica, che si manifesta con placche desquamanti su tutta la superficie del corpo e della testa, avrà l'opportunità di avvalersi solamente dei trattamenti migliori, cioè di quelle cure che garantiscono di poter raggiungere la quasi totalità di pulizia della cute.

Lo ha annunciato Kristian Reich dell'Università di Gottingen in apertura dell'Annual Meeting of American Academy of Dermatology tenutosi ad Orlando la scorsa settimana.

"Per molti anni raggiungere un miglioramento del 75% era l'obiettivo standard nella cura della psoriasi moderata-grave" ha detto Reich "ma adesso abbiamo alzato l'asticella: un trattamento sarà considerato valido quando la maggior parte dei pazienti mostrerà una diminuzione delle placche pari al 90 o 100%".

Un passo avanti importantissimo, che permette di avvalersi quindi dei farmaci e delle molecole più avanzate, lasciando da parte i medicinali di prima generazione, non essendo più ritenuti efficaci dalla comunità medica.

Solamente nel nostro Paese questa patologia colpisce oltre un milione e seicentomila persone, provocando non solo lesioni e arrossamenti cutanei, ma anche favorendo l'insorgenza di altri gravi malattie, quali diabete, cardiopatie e alcuni tumori.

Per non parlare dell'impatto sulla qualità della vita, le relazioni sociali e i rapporti intimi: la forma più comune di psoriasi, quella a placche, è caratterizzata da chiazze rosse, ispessite, coperte da un accumulo bianco argenteo di cellule morte della pelle.

Non è un bello spettacolo: ma oltre al disagio o alla vergogna o ai problemi psicologici e di calo dell'autostima nel vedere il proprio corpo così martoriato e nel mostrarlo, si aggiungono anche i sintomi del dolore fisico associato alle lesioni, che comportano gravi disturbi legati alla sessualità.

Psoriasi e calo dell'attività sessuale

La malattia infatti influisce negativamente anche sulla vita di relazione e la sessualità quando colpisce i genitali, con conseguenze che possono essere devastanti.

Secondo i dati di un'indagine presentata al meeting di Orlando, il 75% dei soggetti con psoriasi genitale dice addio alla vita intima, l'80% riferisce un peggioramento dei sintomi dopo il rapporto e il 55% riporta una riduzione del desiderio sessuale a causa della patologia.

I rapporti sessuali provocano bruciore, peggioramento delle placche, dolore che perdura per ore o giorni. Chi ne soffre trova spesso come unica soluzione l'evitare i rapporti.

Tirando le somme, è emerso che l'80% delle persone affette vede compromessa la propria esperienza con il partner e una uguale percentuale riduce il numero dei rapporti.

"Servono farmaci efficaci anche per questa sede anatomica" ha dichiarato il professor Steven Nisticò, professore associato di dermatologia dell'Università Magna Graecia di Catanzaro.

"Dobbiamo pensare alla gravità della psoriasi, definendola non solo come percentuale del corpo coinvolta, e quindi estensione della malattia, ma anche come impatto emotivo e psicologico sulla qualità di vita dei pazienti".

L'avanzata dei nuovi farmaci

"I progressi nella comprensione dei meccanismi coinvolti nella psoriasi hanno dato un forte impulso allo sviluppo di nuovi trattamenti che, grazie ad un innovativo meccanismo d'azione, consentono di raggiungere una elevata efficacia fino alla completa remissione della malattia" ha dichiarato la professoressa Ketty Peris, direttore della clinica dermatologica del Policlinico universitario Gemelli di Roma.

Poiché la malattia è causata da un problema del sistema immunitario, la soluzione di cura più efficace si è mostrata quella di agire proprio contro le proteine che inviano segnali difettosi che accelerano il ciclo di crescita delle cellule cutanee.

Una di queste in particolare, l'interleuchina-17A, stimola la produzione di nuove cellule della pelle a una velocità superiore al normale.

Ixekizumab è un anticorpo monoclonale umanizzato che si lega selettivamente con interleuchina 17A e inibisce la sua azione.

Questa molecola, sperimentata su più di milletrecento pazienti nello studio clinico UNCOVER 3, ha mostrato una performance elevata sia a breve sia e soprattutto a lungo termine, con una efficacia significativa sino a due anni e tre mesi di trattamento.

"L'alto indice di risposta osservato nel periodo di somministrazione di ixekizumab viene mantenuto fino a 108 settimane di terapia, con risoluzione completa delle placche psoriasiche raggiunta da oltre il 50% dei pazienti" ha spiegato Peris.

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