Dermatologia / Rassegna stampa

Melanoma. L'invecchiamento cellulare non ferma il cancro

Anche le cellule tumorali invecchiano e muoiono, ma questo non ferma la diffusione della malattia. Colpa delle cosiddette staminali del melanoma, responsabili della crescita e potenziali bersagli terapeutici. Intervista a Stefano Zapperi (Ieni – Cnr) e Caterina La Porta (Università di Milano)

Segreteria SIDeMaST, 26 Jan 2012 11:11

Argomenti: melanoma staminali
Melanoma. L'invecchiamento cellulare non ferma il cancro

Come tante volte succede nel processo scientifico, anche questa scoperta è arrivata quasi inaspettata. La senescenza cellulare, ovvero il processo che porta all'invecchiamento e alla morte delle cellule nel nostro organismo, quando avviene nelle unità biologiche del melanoma non ne arresta la crescita.

In compenso, studiare questo meccanismo fornisce delle informazioni utili sulle cellule più resistenti di questo tumore aggressivo: le sue staminali, che presto potrebbero diventare dei bersagli terapeutici. A parlarci di questo studio, pubblicato su PLoS Computational Biology, sono Stefano Zapperi dell'Istituto per l'energetica e le interfasi (Ieni) e Caterina La Porta dell'Università di Milano, che l'hanno condotto insieme a James Sethna, della Cornell University di New York.

«Visto che i tumori sono dovuti ad una crescita incontrollata dei tessuti, si potrebbe pensare che le cellule malate non vadano mai in senescenza», ha spiegato a Quotidiano Sanità Zapperi, che è un fisico e che si è occupato della parte più matematica e computazionale della ricerca: «Invece studi hanno dimostrato che anche queste cellule invecchiano e muoiono, solo che tutto questo non intacca la crescita del cancro. Quello che abbiamo provato a fare è stato di costruire un modello matematico che descrivesse l'intero processo di crescita del tumore».

Gli scienziati che l'hanno fatta la definiscono una scoperta casuale. «Non sapevamo bene dove saremmo andati a parare – ha commentato La Porta – tutto quello che sapevamo era che il semplice approccio di ricerca del marcatore migliore, e di studio in vitro di popolazioni fatte crescere al massimo una settimana, non ci convinceva del tutto». Un'idea che viene dal fatto che se anche la ricerca sul cancro va avanti e i medici sanno molte più cose che in passato sulla sua biologia, comunque non hanno ancora trovato la cura definitiva alla patologia. «Ci siamo detti che forse sarebbe stato utile tentare un approccio diverso. E quindi abbiamo impostato questo lungo studio interdisciplinare, in cui abbiamo osservato la crescita e la morte delle cellule per ben quattro mesi, invece che solo qualche giorno», ha continuato la ricercatrice. «Uno studio che ha una forma innovativa proprio per il suo carattere: abbiamo cercato di unire competenze diverse come la biologia e la fisica, un approccio che in Italia e in Europa ancora non ha preso del tutto piede».

Ed è proprio questa, in effetti, l'arma vincente di questo studio. I ricercatori hanno infatti monitorato il numero di cellule senescenti di un melanoma aggressivo, osservando qualcosa di inaspettato. Se dopo tre mesi la crescita dei tessuti malati rallentava, il processo di divisione cellulare non si arrestava mai del tutto. Le maggior parte delle cellule tumorali diventava senescente, ma subito dopo il processo di divisione riprendeva al ritmo iniziale, e le cellule senescenti pian piano scomparivano. Secondo i ricercatori tutto questo può essere spiegato solo introducendo nel modello una popolazione di cellule più resistenti e aggressive, che di solito vengono definite cellule staminali tumorali del melanoma. Un gruppo di unità biologiche che non viene intaccato dalla senescenza.

A lungo si è dibattuto della possibile presenza di questo tipo di cellule nei tumori (non solo nel melanoma), e questo studio ne sarebbe una conferma indiretta. «Non si tratta di vere e proprie staminali, questo termine è usato in maniera leggermente impropria. Le cellule hanno però effettivamente alcune delle caratteristiche che contraddistinguono le staminali, per esempio il fatto che sono quiescenti e non crescono molto», ha spiegato ancora la ricercatrice, che studia il melanoma da lungo tempo. «È proprio questa caratteristica che le rende anche più resistenti alle terapie».

Il modello è poi stato confrontato con i dati sperimentali, permettendo di riprodurre quantitativamente sia le curve di crescita, sia l'evoluzione del numero delle cellule senescenti. Il modello predice infatti l'aggressività di questo tipo di tumore e la sua resistenza ai farmaci e alle terapie più diffuse, ma anche il fatto che esso può sembrare sconfitto per poi ripresentarsi dopo molti anni. «Proprio perché le cosiddette staminali del tumore possono rimanere presenti ma quiescenti per lungo tempo», ha spiegato ancora La Porta.

Il modello matematico sviluppato dai ricercatori mostra anche come colpire il meccanismo di invecchiamento potrebbe non portare i risultati sperati: «Proprio perché la senescenza non intacca le staminali tumorali, accelerarla porterebbe solo a una scomparsa temporanea del cancro, che però poi ricomincerebbe a crescere», ha spiegato Zapperi. «La sfida è superare la resistenza alla senescenza delle staminali tumorali e sviluppare metodi che colpiscano specificamente queste cellule».

«In questo senso il melanoma è il modello 'migliore' che potessimo scegliere, perché è il più aggressivo», ha concluso La Porta, spiegando anche come il team di ricerca intende continuare lo studio: «Se riuscissimo a capire come sconfiggere le sue popolazioni di cellule più resistenti, potremmo applicare i risultati anche agli altri tipi di cancro. Per questo oggi stiamo continuando ad analizzarle, e contiamo di pubblicare a breve un nuovo articolo proprio su questo argomento»

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