Dermatologia / Rassegna stampa

Melanoma, diagnosi sempre più precoci

Reggio. Intervista a Giuseppe Argenziano, responsabile della Skin Cancer Unit del Santa Maria Nuova: «Fondamentale lo stile di vita»

Luigi Semeraro, 13 May 2014 10:20

Argomenti: ricerca melanoma sole
Melanoma, diagnosi sempre più precoci

E' arrivato a Reggio tre anni fa quando l'Arcispedale Santa Maria Nuova è diventato Irccs. E da tre anni è in aspettativa dall'Università di Napoli per occuparsi di ricerca clinica in quella che può essere definita un'isola felice. Il professor Giuseppe Argenziano, nel curriculum numerose pubblicazioni scientifiche a livello internazionale, è responsabile della Skin Cancer Unit del Santa Maria nata dal progetto, avviato in concomitanza dell'attivazione dell'Irccs, dedicato alla creazione di un Centro ad alta tecnologia per la ricerca sui melanomi. «La nostra - spiega Argenziano - è una ricerca clinica che si sviluppa soprattutto nell'ambito diagnostico. E il bello di questo ospedale è che quello che fai ti viene riconosciuto anche in termini di risorse investite: la nostra unità all'inizio era formata da due medici, ora siamo sei medici e un infermiere, e la nostra attività continua a crescere».

Qual è il punto di partenza della vostra ricerca?

«Bisogna considerare che i tumori della pelle, negli ultimi vent'anni, sono in costante aumento. A partire dal melanoma, il tumore della pelle più aggressivo, per passare agli epiteliomi, meno aggressivi ma assolutamente più frequenti. Basti pensare che solo a Reggio si parla di un caso ogni cento abitanti».

Quali i maggiori fattori di rischio?

«L'esposizione al sole e l'ereditarietà. Per quanto riguarda il sole sono fondamentali i danni accumulati nei primi quindici anni di vita. Quindi è di primaria importanza lo stile di vita. Bisogna convincere le persone che essere abbronzati non significa per niente essere "belli e sani". Si deve tornare alle buone abitudini dell'Ottocento quando non era trendy l'abbronzatura ma la carnagione il più possibile chiara, sinonimo di aristocrazia. E che il sole sia un fattore di rischio lo dimostrano i numeri: l'Australia è stata per un lungo periodo il Paese dove la percentuale di persone colpite da tumori alla pelle era tra le più elevate in assoluto. Dopo una puntuale e massiccia campagna di sensibilizzazione, i numeri sono crollati».

Se da un lato lo stile di vita e dall'altro l'ereditarietà rappresentano i fattori di rischio, questo è un settore dove la prevenzione diventa di primaria importanza...

«Infatti la maggior parte della nostra ricerca è finalizzata a migliorare la diagnosi precoce. Anche perché quando il melanoma sviluppa metastasi, è ormai troppo tardi. Anche qui, possiamo dire di avere aperto una porta: se fino a quattro o cinque anni fa l'aspettativa di vita era al massimo di sei mesi, ora, grazie a nuovi farmaci e a chemio mirate, possiamo allungare questi tempi. Ma, accanto alle cure che mirano ad allungare l'aspettativa di vita, è alla diagnosi precoce che dobbiamo puntare».

Se la prevenzione è di vitale importanza, perché accanto allo screening per prevenire i tumori della mammella piuttosto che quelli dell'utero, non è possibile mettere a punto uno screening del melanoma?

«Che lo screening del melanoma sia efficace, lo dimostra la Germania. Nell'unico Paese europeo dove si è iniziato a fare una visita dermatologica gratuita all'anno, mirata alla prevenzione del melanoma, a tutti gli over 30, abbiamo assistito a una netta diminuzione della mortalità. Ma lo screening del melanoma rappresenta un costo molto elevato ed è normale che trovi una certa resistenza nel servizio sanitario nazionale».

Intanto, la prevenzione ha fatto passi da gigante...

«Sì, grazie soprattutto alla dermatoscopia, metodica non invasiva per la diagnosi dei tumori cutanei, diventata uno strumento essenziale per la gestione clinica dei pazienti che arrivano in ambulatorio per i controlli dei nei. La dermatoscopia mette in evidenza strutture microscopiche non visibili ad occhio nudo e, come dimostrato in più studi, permette un fondamentale miglioramento delle capacità diagnostiche del dermatologo».

Quali le buone abitudini da osservare, oltre al diffidare dei reggi solari, per ridurre i rischi?

«Porre attenzione al cambiamento dei nei è una buona abitudine, anche perché chi ha molti nei è da considerare più a rischio in quanto i suoi melanociti sono più instabili. Ma osservare i propri nei non basta, anche perché è difficile capire quanto e come cambiano. Bisogna piuttosto stare attenti ad ogni mutamento, non solo dei nei: magari un puntino sulla pelle che abbiamo sempre avuto e che a un certo punto si modifica. Questa attenzione comincia ad essere un'abitudine per i più giovani, dobbiamo invece sensibilizzare gli adulti e gli anziani. Considerando che la maggior parte dei tumori cutanei si sviluppa dopo i cinquant'anni».

Al Santa Maria quali sono i numeri della ricerca clinica?

«Nel primo ambulatorio, quello dello screening, vediamo 50 persone al giorno per quattro giorni alla settimana: di questi 200, il 5/10% passa ad ambulatori più specialistici. In questi anni il Santa Maria è diventato un punto di riferimento anche per le regioni vicine, e le persone che arrivano nei nostri ambulatori provengono da tutto il Nord Italia. Ci sono poi studenti stranieri che vengono qui per studiare e fare ricerca, a sottolineare come il nostro centro sia in continua crescita,così come è costante un confronto internazionale tra i dermatologi che fanno ricerca».

Prevenzione e diagnosi precoce. Da qui parte la lotta ad un tumore per il quale, non dimentichiamolo, solo negli anni Sessanta le possibilità di cura erano quasi nulle.

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