La leucemia a cellule capellute è una forma poco comune di leucemia destinata nella metà dei casi a ripresentarsi. Uno studio finanziato da Airc dimostra l'efficacia di un nuovo farmaco
Si chiama leucemia a cellule capellute ed è una forma di leucemia che determina una marcata riduzione delle normali cellule del sangue che rende i pazienti più sensibili a infezioni molto gravi. I farmaci impiegati fino ad oggi spesso non sono efficaci: in metà circa dei casi, dopo un periodo variabile dai 2 ai 10 anni, si verifica una ripresa della malattia.
Ora, da un farmaco già approvato per il melanoma (vemurafenib) potrebbe venire una definitiva speranza di cura. I risultati di una sperimentazione condotta su una cinquantina di pazienti tra Italia e Stati Uniti hanno infatti dimostrato risultati di efficacia elevatissimi.
Come raramente avviene in questi casi, si tratta di una sperimentazione indipendente finanziata da diverse charities (tra cui AIRC). L'azienda produttrice del farmaco (Roche) ha «fornito un grant di ricerca incondizionato e vemurafenib gratuitamente e non ha avuto alcun ruolo nello studio», si legge nella ricerca pubblicata sul New England Journal of Medicine.
Le risposte al vemurafenib sono state sorprendenti, tanto più che al momento del reclutamento molti dei pazienti erano già stati sottoposti a varie linee di terapia manifestando una malattia particolarmente aggressiva. Nei 49 pazienti valutabili si è osservata una risposta al farmaco che è stata del 96% nello studio italiano e 100% in quello americano, con una percentuale di remissione completa del 35% nello studio italiano e del 42% in quello americano.
Nello studio Italiano, che ha un follow-up più lungo, la sopravvivenza mediana libera da recidiva di malattia è stata di 19 mesi nei pazienti che hanno ottenuto una remissione completa e di 6 mesi in quelli che hanno avuto una remissione parziale. Altro aspetto particolarmente significativo riguarda gli effetti tossici del farmaco che sono sempre reversibili e si manifestano solo a livello cutaneo e articolare ma non midollare (come si osserva con i farmaci chemioterapici).
«Questi risultati eccezionali sono figli dei nostri studi del 2011 che ci portarono alla scoperta della mutazione del gene BRAF nella leucemia a cellule capellute», ha commentato Brunangelo Falini, direttore dell'Istituto di Ematologia con Trapianto di Midollo Osseo dell'Università di Perugia e coordinatore dello studio. «Il fatto di aver compreso i meccanismi molecolari che causano la leucemia a cellule capellute ci ha permesso di aprire nuove prospettive sul fronte diagnostico e terapeutico. Ne è riprova il fatto che, a soli 4 anni da questa scoperta di base, è già disponibile un test molecolare specifico per la diagnosi di leucemia a cellule capellute e una terapia efficace con un farmaco intelligente come il vemurafenib».