L’emergente interesse nei riguardi della radiazione ultravioletta di tipo C (UV-C) quale strumento efficace per l’inattivazione del virus SARS-CoV-2 su superfici o nell’aria è un’idea valida e meritevole di approfondimenti sul piano scientifico prima di essere applicata in condizioni reali per la disinfezione degli ambienti pubblici.
Tuttavia ricordiamo che la radiazione UV-C è altamente energetica ed ha un elevato potere cancerogeno poiché assorbita dal DNA ed RNA con conseguente danno mutagenico.
Pertanto, come evidenziato da recenti ricerche effettuate in vitro o su modelli animali, solo una specifica banda della radiazione UV-C con lunghezza d’onda compresa tra 207 e 222 nm (detta far-UVC), potrebbe essere teoricamente in grado di inattivare il virus senza sostanziali effetti collaterali su cute e cornea, per lo scarso potere di penetrazione di tale radiazione che resta limitato allo strato corneo.
Va però considerato che l’efficacia e la sicurezza di tale applicazione in ambienti chiusi in cui transitano molteplici persone va attentamente verificata poiché dipendente dall’intensità e della durata dell’esposizione a tale radiazione, come specificato nell’articolo che vi segnaliamo.
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