Dermatologia / Rassegna stampa

Ipilimumab aumenta la sopravvivenza nei pazienti operati di melanoma

Presentati oggi all'Esmo e pubblicati in contemporanea su The New England Journal of Medicine i dati di uno studio che dimostrano l'efficacia dell'immuno-terapico ipilimumab come terapia adiuvante.

Segreteria SIDeMaST, 10 Oct 2016 05:33

Argomenti: melanoma ipilimumab
Ipilimumab aumenta la sopravvivenza nei pazienti operati di melanoma

Aumentano le speranze di vita anche per chi ha un melanoma in stadio avanzato ed è ad alto rischio di recidiva. La buona notizia è stata annunciata oggi dagli oncologi europei riuniti a Copenaghen per il loro Congresso europeo ed è stata appena pubblicata su The New England Journal of Medicine che riporta i risultati dello studio di fase III Eortc 18071.

I risultati a due anni. Ipilimumab è stato approvato nel 2011 per il trattamento di prima linea del melanoma avanzato negli Stati Uniti e in Europa. La questione successiva era stabilire se potesse essere efficace nel trattamento adiuvante, cioè dopo l'asportazione del tumore con intervento chirurgico. Ed è proprio quello che ha valutato lo studio Eortc 18071. Dal 2008 al 2011, 951 pazienti con melanoma di stadio III sono stati arruolati ed assegnati in parti uguali al trattamento con ipilimumab 10 mg/kg oppure con placebo. Come già riportato nel 2015, lo studio ha raggiunto il suo endpoint primario dimostrando dopo un follow up di circa 2 anni e mezzo che il farmaco migliora la sopravvivenza libera da recidiva. Fu proprio in seguito a questi risultati che ipilimumab è stato approvato dalla Food and Drug Administration come terapia adiuvante per il melanoma in stadio III.

I risultati a cinque anni. Ma ora sono stati presentati i risultati dopo cinque anni che confermano le buone notizie: la sopravvivenza globale è migliorata e c'è una riduzione del 28% del rischio relativo di morte. In termini assoluti, il tasso di sopravvivenza globale a cinque anni è stato dell'11% più alto nei pazienti che hanno assunto ipilimumab (65%) rispetto a quelli trattati con placebo (54%).

Il rapporto rischio-beneficio. Ma come la mettiamo con gli eventi avversi? I ricercatori hanno visto che a cinque anni non si verificano effetti tossici o morti aggiuntive rispetto a quanto osservato dopo due anni di studio. "L'utilizzo di ipilimumab come terapia adiuvante apporta un significativo miglioramento della sopravvivenza globale e ha un favorevole rapporto rischio-beneficio. Ecco perchè rappresenta chiaramente una seria opzione per i pazienti con melanoma in stadio III" ha dichiarato Alexander Eggermont, direttore generale dell'Istituto Gustave Roussy di Villejuif in Francia.

Verso una terapia adiuvante standard. "Questi risultati" afferma Paolo Ascierto, direttore struttura complessa di Oncologia Medica e Terapie Innovative, Istituto Nazionale Tumori, Irccs Fondazione Pascale "sono importantissimi perché per la prima volta dimostrano che ipilimumab utilizzato come terapia adiuvante migliora la sopravvivenza e diminuisce il rischio di morte. Questo significa che presto avremo una terapia standard nel trattamento adiuvante". Anche in questa sperimentazione l'Italia ha avuto un grosso peso arruolando un gran numero di pazienti nei centri principali da Milano, a Padova, Siena e Napoli. "Ora sappiamo che somministrare in fase più precoce l'ipilimumab, cioè prima della comparsa delle metastasi a distanza, offre un vantaggio concreto sia sull'allungamento di sopravvivenza che sulla riduzione delle recidive" conclude l'oncologo. Al momento ipilimumab non è ancora registrato per questa nuova indicazione (in adiuvante nel melanoma) ma si attende a breve l'approvazione dell'agenzia regolatoria europea.

In attesa di nuove conferme. "Questo è stato il primo tentativo di utilizzare il blocco del checkpoint nella terapia adiuvante del melanoma e rappresenta una tappa importante anche perchè i suoi risultati aprono la porta ad altri studi sugli inibitori del check point, cioè quelle molecole farmacologiche che, semplificando, agiscono rendendo le cellule cancerose riconoscibili e quindi attaccabili" ha commentato all'Esmo Olivier Michielin del Centro ospedaliero universitario di Losanna. "Attualmente stiamo aspettando i risultati di diversi studi, tra cui Eortc 1325 che sta indagando sul pembrolizumab, un anticorpo PD-1 che agisce aumentando l'abilità del sistema immunitario di identificare e combattere le cellule tumorali, per verificarne l'efficacia quando utilizzato nel trattamento adiuvante rispetto al placebo".

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