Nel corso degli ultimi mesi, la giurisprudenza amministrativa è tornata a pronunciarsi in materia di biosimilari fornendo alcune interessanti indicazioni. In particolare, la sentenza del Consiglio di Stato n. 871 del 5 febbraio 2019 si è espressa sui requisiti necessari per l’applicazione della norma in base alla quale, quando i farmaci biologici e biosimilari a base del medesimo principio attivo sono più di tre, le procedure pubbliche di acquisto devono svolgersi mediante utilizzo di accordi-quadro con tutti gli operatori economici (art. 15, c. 11-quater, decreto legge n. 95/2012, convertito dalla l. n. 135/2012).
Il Consiglio di Stato, confermando la decisione di primo grado del Tar Lombardia, ha stabilito che i principi attivi dei prodotti biologici/biosimilari richiamati dalla norma devono essere “identici” tra di loro e non semplicemente “analoghi”. Secondo il Consiglio di Stato, seppure i farmaci biosimilari siano caratterizzati, tra loro e rispetto al farmaco “originator”, da un’ineliminabile variabilità, insita nelle caratteristiche intrinseche e nel processo produttivo dei farmaci biologici, ciò non esclude la necessità, ai fini dell’applicazione della norma, di fissare una “soglia” di rilevanza delle peculiarità del principio attivo del farmaco biosimilare, al di là della quale esso non può qualificarsi “identico” a quello del farmaco “originator”.
Secondo il Tar, posto che, in base alla legge, i biosimilari non possono sostituire automaticamente i corrispondenti biologici, la valutazione di tale sostituibilità non può essere affidata alle autorità regionali preposte all’approvvigionamento dei medicinali ma solo al personale medico, resta il “limite invalicabile” dell’autonomia e della libertà di prescrizione sotto il profilo dell’appropriatezza terapeutica, in particolare in pazienti che abbiano iniziato la cura con un farmaco biologico, per i quali si impone l’esigenza di garantire la continuità terapeutica