Dermatologia / Rassegna stampa

Se la cura arriva dai farmaci che non ti aspetti

Un farmaco per la pressione che si rivela utile per curare il cancro, un antistaminico contro l'epatite, un anti-tumorale dagli inaspettati effetti contro l'invecchiamento

Segreteria SIDeMaST, 28 Apr 2015 10:22

Se la cura arriva dai farmaci che non ti aspetti

Un farmaco per la pressione che si rivela utile per curare il cancro, un antistaminico contro l'epatite, un anti-tumorale dagli inaspettati effetti contro l'invecchiamento. Le vie della ricerca spesso sono infinite e così accade che una grande quantità di molecole in fase di studio o già in commercio per la cura di determinati disturbi o malattie svelino una seconda faccia e si dimostrino efficaci contro altre patologie, comprese quelle più gravi, fornendo prospettive terapeutiche inaspettate e molto promettenti.

A volte si tratta di semplici intuizioni di ricercatori illuminati, che sulla base delle loro ipotesi cercano la prova del nove e la trovano, altre volte sono scoperte che avvengono per caso, basti pensare al sildenafil, noto ai più come Viagra: inizialmente si pensava potesse trattare l'ipertensione polmonare e l'angina ma l'osservazione degli effetti provocati nel sesso maschile durante gli esperimenti lo fece arrivare sul mercato come trattamento per la disfunzione erettile. Poi ci sono le scoperte non fortuite ma altrettanto fortunate ottenute scandagliando le migliaia di farmaci già approvati per altri usi.

Lo screening delle ampie librerie di farmaci disponibili in tutto il mondo è un metodo efficace per scovare principi attivi e molecole che possono rivelarsi efficaci nella cura di altre malattie oltre a quelle per cui sono stati sviluppati o messi in commercio, il cosiddetto riposizionamento dei farmaci, che ha il vantaggio di accelerare i tempi della ricerca sui nuovi trattamenti.

È così, per esempio, che in questi giorni un gruppo di ricerca americano è arrivato a scoprire che due farmaci per le malattie della pelle potrebbero avere ben altri usi, per ora dimostrati solo sugli animali ma molto avvincenti: invertire i danni causati dalla sclerosi multipla. Ma non mancano altri esempi di nuovi e potenziali usi per le molecole che conosciamo, si va dalla cura delle malattie neurodegenerative a quelle infettive passando per il trattamento del cancro.

Dalla cura della pelle a quella dei danni da sclerosi multipla

Secondo i ricercatori della Case Western Reserve School of Medicine di Cleveland, in Ohio (Usa), il miconazolo e il clobetasolo, che curano rispettivamente una comune micosi detta "piede dell'atleta" e l'eczema, possono "istruire" le cellule staminali del cervello in modo da stimolare la produzione di mielina e contrastare la degenerazione cellulare all'origine della malattia.

I risultati dello studio, pubblicato su Nature, mostrano che i due composti, testati su cavie da laboratorio, sono stati in grado di stimolare la rigenerazione delle cellule cerebrali danneggiate e invertire la paralisi. Dal momento che la perdita di mielina non avviene solo nella sclerosi multipla, la scoperta potrebbe rivelarsi utile anche in altri dusturbi neurodegenerativi come la paralisi cerebrale, la demenza senile, la neurite ottica e la schizofrenia.

«Sappiamo che ci sono cellule staminali in tutto il sistema nervoso adulto che sono in grado di riparare i danni causati dalla sclerosi multipla, ma fino ad ora non siamo stati in grado di guidare questo processo», spiega Paul Tesar, professore presso il Department of Genetics & Genome Sciences della Case Western Reserve School of Medicine e autore della ricerca. «Il nostro approccio è stato quello di trovare farmaci che potrebbero catalizzare le nostre cellule staminali per sostituire quelle perse nella sclerosi multipla».

La sclerosi multipla è la malattia neurologica cronica più comune tra i giovani adulti. A causarla è la risposta anomala del sistema immunitario che invece di proteggere l'organismo distrugge il rivestimento protettivo delle cellule nervose del cervello e del midollo spinale, la mielina.

Senza mielina, i segnali neurali non possono essere trasmessi correttamente lungo i nervi e nel corso del tempo questo si traduce nell'impossibilità del paziente di camminare, di tenere in umano una tazza o anche di vedere.

Mentre le terapie al momento disponibili cercano di rallentare la distruzione di mielina ad opera del sistema immunitario, il nuovo studio si basa su un approccio diverso che mira a creare nuova mielina nel sistema nervoso per bloccare la disabilità causata dalla sclerosi o da altri disturbi neurologici simili.

«Fino ad oggi, per sostituire le cellule danneggiate ci si è concentrati sul trapianto diretto di tessuti derivati dalle cellule staminali per la medicina rigenerativa», aggiunge Tesar. «Noi ci siamo chiesti se potevamo trovare un approccio più rapido e meno invasivo, utilizzando farmaci per attivare le cellule staminali già presenti nel sistema nervoso adulto e spingerle a formare nuova mielina. Il nostro obiettivo finale è quello di migliorare la capacità del corpo di riparare se stesso».

E l'operazione sembra proprio riuscita. Anche se ancora la ricerca è ai primissimi stadi.

Il team guidato da Faser si è concentrato su un particolare tipo di cellula staminale chiamata progenitrice degli oligodendrociti (OPC), normalmente presente solo nel cervello e nel midollo spinale. Nel 2011, infatti, i ricercatori sono riusciti a riprodurne enormi quantità in laboratorio e attraverso le più moderne tecniche di visualizzazione al microscopio sono poi andati a vedere quali farmaci potessero spingere gli oligodendrociti ad aumentare il processo di mielinizzazione.

Lo studio ha passato al setaccio 727 composti già noti e in commercio, selezionati tra quelli presenti nella raccolta del National Center for Advancing Translational Sciences (NCATS) dei National Institutes of Health (NIH) e su tutti solo due si sono dimostrati utili allo scopo: il miconazolo, presenti in lozioni e polveri da banco per il trattamento delle infezioni micotiche, e il clobetasolo, impiegato nei disturbi dermatologici come eczema e psoriasi.

Somministrati sistematicamente in topi da laboratorio affetti da sclerosi multipla, i due farmaci sono stati in grado di stimolare gli OPC a produrre nuove cellule mielinizzanti e a invertire i danni della malattia. Quasi tutti gli animali, infatti, hanno recuperato l'uso degli arti inferiori. Il promettente effetto è stato osservato anche nei test sulle cellule staminali umane, con una migliore efficacia provata per il miconazolo.

«C'è stato un rovesciamento sorprendente della gravità della malattia nei topi», ha commentato Robert Miller, membro della facoltà neuroscienze della Case Western Reserve University e co-autore dello studio. «I farmaci identificati sono in grado di migliorare la capacità rigenerativa delle cellule staminali nel sistema nervoso adulto. Questo rappresenta davvero un cambiamento di paradigma nel modo in cui pensiamo di ripristinare la funzione di pazienti con sclerosi multipla».

Nonostante i risultati facciano ben sperare, c'è ancora molta strada da fare prima che i pazienti con sclerosi multipla possano beneficiare di un trattamento simile, precisano i ricercatori. Per prima cosa bisognerà trovare il modo di trasformare i farmaci ad uso topico in composti somministrabili e poi determinarne l'efficacia a lungo termine e i possibili effetti collaterali.

Di certo lavorare su farmaci già esistenti è un buon inizio perchè aumenta le probabilità di arrivare a composti sicuri per l'uomo, spiega Tesar, e non è escluso che in futuro potrebbero essere testate sui pazienti delle versioni ottimizzate dei due principi attivi. Nel frattempo, però, lo studio su Nature mette in guardia dai pericoli derivanti dall'uso delle versioni attuali dei due farmaci.

«Ci rendiamo conto che alcuni pazienti e le loro famiglie ritengono di non poter aspettare per lo sviluppo di farmaci specifici approvati», conclude Tesar, «ma l'uso off-label (fuori etichetta, ndr) delle attuali versioni di questi farmaci potrebbe portare altri problemi di salute piuttosto che alleviare i sintomi della sclerosi. Stiamo lavorando senza sosta per sviluppare un farmaco sicuro ed efficace per l'uso clinico».

Sclerosi multipla ma non solo...

Sempre in questi giorni dal meeting annuale dell'American Academy of Neurology, appena conclusosi a Washington, arriva la notizia che un anti-epilettico può proteggere la vista dei malati di sclerosi multipla.

I ricercatori guidati da Raj Kapoor, del National Hospital for Neurology and Neurosurgery di Londra, hanno selezionato 86 malati con neurite ottica acuta, patologia a cui va incontro chi è malato di sclerosi. Una parte del campione ha ricevuto pre tre mesi la fenitoina, comunemente usato per prevenire le crisi epilettiche, mentre gli altri un placebo. Sia all'inizio dello studio che dopo sei mesi, il team ha misurato lo spessore della retina dei partecipanti e testato la loro qualità della vista.

Risultato: il gruppo che aveva assunto fenitoina mostrava il 30% di danni in meno nello strato delle fibre nervose e un volume della macula superiore del 34% rispetto a quanto osservato nei soggetti del gruppo di controllo. Se il dato sarà confermato da studi più ampi, potrebbe portare a un trattamento per impedire danni al nervo ottico e cecità nei pazienti con sclerosi multipla.

Passando ad un altro campo di ricerca, uno studio dell'Institute of Cancer Research e del Royal Marsden NHS Foundation Trust, presentato nel corso dell'American Association of Cancer Research a Philadelphia, ha dimostrato che un farmaco approvato per trattare il cancro al seno nelle donne con mutazione del gene Brca è efficace anche nel tumore alla prostata.

In questo caso la scoperta si deve a un'intuizione degli scienziati che per verificarla hanno somministrato il farmaco olaparib a 49 uomini con cancro alla prostata. 16 pazienti hanno risposto al farmaco mostrando che la crescita tumorale era stata bloccata e la conta delle cellule malate risultava più bassa. In particolare, proprio come sospettavano gli scienziati, la maggiore efficacia si è manifestata nei pazienti che presentavano una serie di difetti di riparazione del Dna, il che apre la strada all'identificazione attraverso test appositi dei malati che potrebbero trarre maggior beneficio dall'uso di questo farmaco.

Solo qualche settimana fa davamo notizia della scoperta, da parte dei ricercatori dei National Institutes of Health di Bethesda, nel Maryland (Usa), di un nuovo utilizzo della clorciclizina (Ccz), una nota molecola usata contro le allergie, che si è rivelata un potente inibitore del virus dell'epatite C. I ricercatori dei Nih hanno usato un programma di screening altamente sofisticato per individuare farmaci in uso per altre indicazioni che risultassero attivi contro l'epatite. E così sono arrivati all'antistaminico clorciclizina che, sperimentato su topi da laboratorio in cui erano inoculate cellule epatiche umane infette, si è dimostrato in grado di bloccare il processo infettivo impedendo al virus di entrare nelle cellule del fegato.

Come evidenziato negli studi sopra citati, spesso la scoperta delle altre potenzialità dei farmaci già in uso rappresenta solo un primo punto di partenza. Anche se si lavora partendo da farmaci già testati e approvati sull'uomo, il passaggio dalla prova di efficacia e sicurezza nei modelli animali alle sperimentazioni cliniche sull'uomo richiede comunque molto tempo e molta cautela.

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