Dermatologia / Rassegna stampa

Melanoma, una ricerca indica chi è più a rischio di recidiva

L'aggressività della malattia, che determina se il paziente sarà guarito dopo la chirurgia o avrà una ricaduta, dipende dalla risposta immunitaria del paziente

Segreteria SIDeMaST, 27 Jan 2014 11:45

Melanoma, una ricerca indica chi è più a rischio di recidiva

Uno studio condotto dall'Istituto Nazionale dei Tumori di Milano ha dimostrato che l'aggressività del melanoma (il più pericoloso tumore della pelle) è legata alla risposta del nostro sistema immunitario: una molecola, presente nelle cellule immunitarie dei linfonodi sentinella è in grado di dire se il paziente è esposto al rischio di recidive a cinque anni dalla diagnosi. Nei malati affetti da melanoma, in pratica, l'analisi molecolare dei linfonodi sentinella (quelli più vicini all'area della neoplasia e più a rischio di metastasi) può identificare i casi a maggior rischio di ricaduta negli anni successivi all'intervento chirurgico di rimozione del tumore.

LA RICERCA - Lo studio, condotto dal gruppo di ricerca guidato da Monica Rodolfo, biologa dell'Unità di Immunoterapia dell'Istituto Nazionale Tumori milanese (Int) e pubblicato sulla rivista scientifica Cancer Research, ha esaminato con analisi di genomica i linfonodi sentinella di 42 pazienti affetti da melanoma con differente aggressività. I ricercatori miravano a identificare biomarcatori in grado di individuare i pazienti ad alto rischio di ricaduta. Hanno quindi confrontato i linfonodi sentinella di pazienti in cui il tumore aveva avuto una recidiva con quelli di pazienti senza recidiva fino a cinque anni dopo la rimozione chirurgica del tumore primario. Gli esiti mostrano che il linfonodo sentinella dei pazienti con recidiva presentava cellule immunitarie con alterazione dell'espressione di geni coinvolti nei processi di sopravvivenza, proliferazione e metabolismo cellulare. Inoltre appare evidente che le cellule con immunitarie positive per il marcatore CD30 erano più espresse nei linfonodi sentinella dei malati con recidiva e in quelli con stadio della malattia avanzato.

IL POTERE DEL SISTEMA IMMUNITARIO - In conclusione, i risultati dello studio dimostrano come l'aggressività della malattia, che determina se il paziente sarà guarito dopo la chirurgia o avrà una successiva recidiva, non dipende dalle caratteristiche del tumore bensì da quelle della risposta immunitaria. Un risultato che testimonia che le nostre difese immunitarie sono in grado di condizionare il decorso della malattia anche nel caso dei tumori. Tra i marcatori identificati nello studio vi è la molecola CD30, che risulta più espressa nelle cellule immunitarie linfonodali e in quelle circolanti dei pazienti con malattia aggressiva. Queste cellule mostrano una funzione alterata e sono segno di immunosoppressione o di esaurimento dell'immunità antitumore. «La molecola CD30 -spiega Monica Rodolfo -potrebbe diventare un nuovo bersaglio terapeutico per i pazienti con melanoma. Essendo già disponibili farmaci che agiscono su questo marcatore CD30, è possibile immaginare che questa nuova strategia terapeutica possa essere studiata nei pazienti in tempi relativamente brevi».

CAPIRE A QUALI PAZIENTI E' SUFFICIENTE LA SOLA CHIRURGIA - «Questo studio -commenta Marco Pierotti, direttore scientifico dell'Int- si colloca nella tradizione di ricerca immunologica e di immunoterapia dei tumori, integrata da innovativi approcci molecolari volti a comprendere i complessi rapporti che si instaurano tra il cancro e l'organismo che lo ospita. Riconoscere in ciascun paziente se il suo sistema immunitario reagisce al melanoma o lo subisce, consentirà di modulare gli interventi per ottimizzare l'efficacia terapeutica». Lo sviluppo clinico di queste informazioni potrebbe infatti consentire di identificare quali pazienti, dopo l'intervento chirurgico, abbiano un elevato rischio di recidiva e necessitino quindi di ulteriori terapie, evitando un trattamento superfluo e tossico ai malati guariti dalla sola chirurgia (e risparmiando, al Servizio sanitario, i costi economici di cure inutili). Lo studio è stato finanziato dall'Associazione Italiana per la ricerca sul Cancro (AIRC) e dal Ministero della Salute.

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