Dermatologia / Rassegna stampa

Perché le malattie della pelle sono più diffuse in città?

L'ambiente in cui viviamo influenza la salute della comunità microbica che abita la nostra pelle. Rendendoci più o meno esposti a malattie cutanee, soprattutto nelle città

Segreteria SIDeMaST, 22 Mar 2018 03:33

Perché le malattie della pelle sono più diffuse in città?

C'è vita sulla nostra pelle? Sì, parecchia e molto diversificata tra le differenti regioni del corpo. Tra acari, funghi, batteri e virus, sono infatti diverse centinaia le specie che compongono una delle più vaste comunità microbiche del nostro organismo, seconda solamente a quella presente nell'intestino. Non si tratta di una presenza sgradita, tutt'altro: un numero crescente di studi evidenzia il ruolo del microbioma cutaneo come prima linea di difesa da microrganismi e sostanze nocive nonché quello di spazzini delle nostre cellule morte.

Sono numerosi i fattori che contribuiscono all'equilibrio di questo ecosistema dinamico. Tra questi c'è l'ambiente in cui viviamo. Incuriositi dalla maggiore incidenza delle malattie cutanee nelle aree urbanizzate rispetto a quelle rurali, la ricercatrice Hye-Jin Kim dell'Università Chung-Ang ad Anseong e colleghi hanno analizzato il microbioma cutaneo di 231 donne, giovani e in salute, residenti in cinque città della Cina. Lo studio è stato pubblicato sulla rivista "Science Advances". Il sequenziamento dell'RNA ribosomiale 16S, sorta di impronta digitale per i procarioti, ha permesso di determinare diversità e abbondanza della comunità batterica. I risultati emersi dall'unione di tre diversi metodi analitici hanno evidenziato una netta separazione tra due gruppi: il microbioma di chi abitava nelle metropoli di Canton e Pechino era significativamente più povero di chi abitava in città di dimensioni minori come Kunming, Xìan e Hohhot.

La flora batterica delle abitanti di Canton e Pechino è risultata fragile, caratterizzata da scarsa biodiversità e minore densità, e inoltre spesso isolata in nicchie. Viceversa, il microbioma cutaneo delle donne che abitano nelle tre città rimanenti è caratterizzato da una maggiore diversità e variabilità. Secondo gli autori, questa differenza potrebbe contribuire a spiegare la maggiore incidenza delle malattie della pelle negli ambienti più urbanizzati. I risultati dello studio forniscono inoltre nuove informazioni sulla resilienza della comunità microbica della pelle alle condizioni ambientali: i microbiomi di Canton e Pechino sono risultati simili tra loro nonostante le due megalopoli distino quasi duemila chilometri. Fattori climatici e socioeconomici potrebbero giocare un ruolo maggiore delle distanze geografiche nel determinare la salute delle comunità batteriche. E quindi anche della nostra.

"Si tratta di uno studio osservazionale, però la separazione tra i due gruppi è estremamente netta. Ora vanno capiti i motivi di questa differenza" ragiona Massimo Clementi, direttore del laboratorio di Microbiologia e virologia dell'IRCCS Ospedale San Raffaele e preside della facoltà di Medicina e chirurgia dell'Università Vita-Salute San Raffaele. L'importanza del microbioma, non solo di quello cutaneo, è nota da tempo ma solamente negli ultimi anni, con lo sviluppo delle tecniche genomiche, abbiamo iniziato a capirne di più. "Più che un organismo - prosegue il virologo - il nostro corpo è un vero e proprio ecosistema: basti pensare che le cellule batteriche sono più numerose delle cellule umane". Dalla nascita in poi, il sistema immunitario matura anche grazie alla progressiva colonizzazione da parte dei batteri. "Finché questa popolazione è ben diversificata i microrganismi residenti competono con altri provenienti dall'esterno, magari patogeni" spiega Clementi. L'alterazione della naturale fisiologia può dipendere da diversi fattori, non ancora del tutto compresi. Antibiotici, inquinamento e persino l'igiene eccessiva possono alternarne l'equilibrio. "Non è un invito a trascurare l'igiene, sia chiaro, però non si deve nemmeno esagerare. Il ricorso a prodotti aggressivi, come quelli contenenti alcoli, andrebbero evitati o comunque limitati" conclude il virologo.

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